UN PO' DI LUCE SU TEODORO GHEZZI  di Mario Villani

 

Bergamo Alta. Scendendo lungo via Arena, appena oltrepassata l'entrata della Basilica di Santa Maria Maggiore, il vecchio acciottolato della strada conduce il turista interessato ad un ampio portone, sulla destra. Varcandolo, dopo un piccolo cortiletto, due rampe di scale conducono alle sale del Museo donizettiano. In ogni bacheca un cimelio: una lettera, una partitura, un libretto, un ritratto, un oggetto che riporta alla luce ed al ricordo la vita intensa ed operosa di uno dei più grandi geni dell'arte musicale di ogni tempo. Ritratti dei cantanti che, lui vivo, hanno portato sulle scene le sue opere e fra essi i più noti ed apprezzati artisti dell'epoca. Strumenti musicali, abiti, decorazioni. Ogni cosa lascia un vivo e commovente ricordo del grande bergamasco. La piccola sala in fondo è forse quella che conserva i più intimi e dolorosi ricordi di Gaetano. Non solo il pianoforte sul quale compose moltissime delle sue opere più note (con inciso su una targhetta metallica il testo della lettera, scritta al cognato Toto con la quale, donandogli quel prezioso oggetto, gli chiede di non venderlo per qualunque prezzo: “ Dal 1822 l'ho nelle orecchie...Vissi con quello l'età della speranza, la vita coniugale, la solinga...Tutti ci ha visti, conosciuti, tutti l'abbiamo tormentato, a tutti fu compagno e lo sia eternamente alla figlia tua qual dote di mille pensieri tristi e gai.”), ma anche il letto che raccolse l'ultimo respiro del musicista e quella poltrona, già in casa Rota-Basoni, dove Donizetti trascorse le sue ultime ore, travolto da quel male inesorabile che ne aveva spento da tempo l'intelletto ed il genio creativo. Un piccolo supporto serviva al povero malato per sorreggere il capo che, ormai, non riusciva più a mantenersi eretto. Quanta tristezza! Alle pareti vari quadri. Davanti ad uno, in particolare, mi fermo sempre a lungo, ad ogni mia visita.

Un ritratto di donna, Virginia Vasselli, amatissima sposa del Maestro, che lo precedette nella tomba, neppure ventinovenne, nel 1837, in una Napoli assediata dal colera. Il dipinto la ritrae poco dopo il loro matrimonio. Virginia è quindi poco più che ventenne; il bel viso incorniciato da boccoli di capelli scuri che si arricciano e le ricadono ai lati del volto. Le labbra atteggiate ad un dolce sorriso. Il vestito, elegante, le lascia scoperte le spalle e fa risaltare la bellezza della figura.

E' il quadro che Gaetano inviò ai suoi genitori per far loro conoscere, almeno in pittura, la sua donna ed il suo ideale femminile. Certo, di persona, i suoceri non conobbero mai la loro nuora. Il viaggio di Andrea Donizetti e Domenica Nava da Bergamo a Napoli, più volte auspicato da Gaetano, pare non abbia mai avuto luogo. La fotografia, a quei tempi, muoveva timidi passi e per arrivare ai primi dagherrotipi, dovevano trascorrere ancora più o meno dieci anni. A quell'epoca Virginia era già morta e solo questo ritratto e pochi altri ne fissano le sembianze.

Chi dipinse quel quadro? Teodoro Ghezzi.

Teodoro fu uno degli amici più intimi di Donizetti. Gaetano, in virtù del suo carattere e della sua professione, aveva amici ovunque e fra tutti i ceti sociali: dall'oste Bettinelli, che nella natia Bergamo, gli preparava polenta e osei all'Osteria “I Tre Gobbi”, all'Imperatore d'Austria, dal Principe di Metternich e Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, a qualche popolano bergamasco o napoletano che, magari, incontrandolo per strada, in Contrada di San Cassiano o in Strada Nardones, si levava il cappello a salutare...”Il Maestro”.

A Napoli Donizetti avava moltissimi amici: oltre a Teodoro Ghezzi, Aniello Benevento, Salvatore Sarmiento, Tommaso Persico, Federico Raffaele, Lorenzo Zino ed altri ancora, forse meno intimi, come Montuori, Bidera, Martino, Rubino, Mira, Marra. Essi compaiono spesso nelle lettere di Gaetano, ai quali egli invia regolarmente i suoi saluti.

L'Architetto Carlo Moscarino ha molto opportunamente messo a disposizione degli studiosi e degli appassionati la sua raccolta, di inestimabile valore storico, di lettere di Donizetti e di altri personaggi a lui intimamente legati: il cognato Antonio Vasselli (amabilmente chiamato Toto) e molti degli amici napoletani del Maestro. Il volume che raccoglie questo prezioso materiale si intitola “CaroAniello – ICarteggidonizettianidelFondoMoscarino (1836 – 1847) ed è stato pubblicato nel 2008 dalla Fondazione Donizetti. Esso fornisce molte informazioni, in gran parte inedite, sull'ultimo periodo della vita e della malattia di Donizetti e sulle azioni che gli amici del compositore misero in atto in conseguenza di questa penosa situazione. Certo l'amicizia, come forse tutti i sentimenti umani, era a quei tempi più profonda e sentita di adesso. Questa odierna società “vorticosa”, che ci trascina e ci obbliga a modi e tempi di vita che di umano hanno ben poco, si è un po' portata via il senso degli affetti sinceri e disinteressati che, forse, si cementano e rafforzano maggiormente nelle difficoltà e nella sofferenza. Basta ricordare come gli amici di Donizetti si strinsero compatti attorno a lui, per sostenerlo e forse per impedire alla sua mente sconvolta gesti estremi quando, dopo la morte di Virginia, la sua stabilità mentale sembrava compromessa. L'arte poi lo salvò, prima dell'ultima battaglia con la malattia. Battaglia, allora, impossibile da vincere.

Molti degli amici di Donizetti (almeno quelli più intimi) ci sono, in qualche modo, noti. Forse il più sconosciuto di tutti è stato proprio Teodoro Ghezzi, l'autore del quadro di Virginia. Cosa strana a dirsi, poiché il Ghezzi fu artista di non trascurabile talento e forse la storia avrebbe potuto darci di lui qualche informazione in più, in considerazione di questo fatto.

Il Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei di A.M. Comanducci – 3a edizione – 1962, volume secondo, pagina 835, gli dedica solo queste poche ed in parte inesatte parole:

GHEZZI TEODORO Pittore napoletano, attivo in Napoli nel primo Ottocento. Amicissimo dei coniugi Donizetti – Vanelli (sic) durante il soggiorno (1828 – 1838) là della famiglia del grande musicista, si recò poi a Parigi per lui e si adoperò, con l'aiuto della contessa di Löwenstein, per il rilascio dalla casa di cura del demente e per il suo trasferimento a Bergamo (ove morì nell'aprile 1848)”. Nomi e date errati e nessun riferimento all'attività artistica di Ghezzi che, a leggere quanto sopra, sembrerebbe essere morto lui nel 1848, anziché Donizetti. Cosa del tutto fuorviante ed inesatta, come vedremo.

Dice molto di più l'amico Francesco Cento, artista e studioso, oltre che appassionato e competente donizettiano che, nel suo Dizionario, dedicato al grande bergamasco, intitolato: “Dizionario donizettiano” (opera documentata e di ampio respiro), alla voce Ghezzi Teodoro, cita le seguenti opere conosciute del pittore: un olio del 1841: Donne che dissetano due pellegrini (Milano, Coll. Privata) e la realizzazione di due tavole: Pescivendolo e Venditrice di acqua sulfurea, per i due volumi “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, opera di Francesco De Bourcard, editi a Napoli nel 1858. Oltre a queste informazioni il Dizionario donizettiano ci fornisce ulteriori dettagli sulla vita di Ghezzi, sul suo viaggio a Parigi per visitare Gaetano ammalato, con la recondita speranza di poterlo far rientrare in Italia (ma la cosa si realizzerà solo più tardi) e su varie incombenze assolte da Teodoro che, dopo la partenza di Donizetti da Napoli per Parigi, curava i suoi interessi nella città partenopea. Incombenze che continuarono anche dopo la morte del compositore.

Ma quali erano, fino a questo momento, le informazioni in nostro possesso su Teodoro Ghezzi? Oltre alle summenzionate opere pittoriche ed alle lettere citate nel volume della raccolta Moscarino, l'epistolario di Guido Zavadini riporta alcune lettere del compositore all'amico napoletano. Inoltre esiste una postilla di Ghezzi ad una delle lettere più strazianti di Gaetano, scritta al cognato immediatamente dopo la morte di Virginia, in cui Teodoro, presente al luttuoso evento, ricorda gli ultimi istanti di vita dell'amatissima sposa di Donizetti. 

Il 7 marzo 1860, il giornale napoletano l'Omnibus pubblicò un articolo di Ghezzi intitolato “Seguito de'ricordi su Donizetti”, con alcune notizie biografiche del compositore. Il titolo presupporrebbe l'esistenza di una prima parte ma, da un mio controllo forse troppo frettoloso, non mi è riuscito di reperirla (nell'eventualità sia stata effettivamente pubblicata).

E' possibile che qualche chiesa di Napoli od altre collezioni private conservino ulteriori sue produzioni artistiche. Una più approfondita ricerca in loco potrebbe far rinvenire contratti per opere a lui commissionate o ricevute per pagamenti delle stesse.

Parlando con l'amico Fulvio Stefano Lo Presti il nome di Ghezzi è comparso spesso, così come il condiviso desiderio di conoscerlo meglio. Ho intrapreso quindi una piccola ricerca, utilizzando, per ora, solo il computer e con l'ausilio di molte persone gentili e collaborative, adesso possiamo dire che, finalmente, Teodoro Ghezzi sta uscendo dall'anonimato, poiché siamo venuti in possesso di alcune notizie precise su di lui, sulla base di documenti ufficiali.

Innanzitutto “Gli Annali Civili del Regno delle Due Sicilie – Volume II – Maggio Giugno Luglio ed Agosto 1833”, in nota ai “Dialoghi sopra alcune opere di Pittura, Scultura, Architettura ed Intaglio messe in mostra nel Real Museo Borbonico il dì 30 di maggio dell'anno 1833” citano a pagina 58: “Meritarono nella pubblica concorrenza dell'anno 1833 (omissis)... Le Medaglie di argento di seconda classe: Per le opere – Di pittura di figura, di paese, di genere e di disegno.

I Signori....Teodoro Ghezzi....” (ometto il lungo elenco degli altri premiati).

A meno che non si tratti di un caso di omonimia è possibile che Ghezzi si sia dedicato anche ad attività alternative alla pittura. Infatti “Lo stabilimento tip. dei classici italiani”, nel 1859 pubblicò: “Maurizio di Treuil – Romanzo di Amedeo Achard, prima versione dal francese di Teodoro Ghezzi”.

Ghezzi compare anche nel carteggio di Verdi con Salvatore Cammarano, nell'anno 1850. Verdi si rammarica per una lettera che si diceva gli era stata consegnata da Ghezzi, con la preghiera venisse da Verdi stesso recapitata al segretario dell'editore Lucca. Verdi però conferma di non aver mai conosciuto Ghezzi di persona e s'infervora al solo pensiero di non aver adempiuto ad una commissione richiestagli, anche se così...nebulosa. Cosa impensabile per lui! Ad onor del vero, Ghezzi non era responsabile del “pasticcio” poiché, come confermato da Cammarano a Verdi, Teodoro, non avendo trovato alcuno che lo presentasse al compositore di Busseto, all'albergo napoletano ove questi alloggiava, aveva consegnato la lettera al cameriere che...si era scordato di portarla a Verdi che, quindi, non l'aveva mai vista. Incolpevole Teodoro!

Cammarano dà, nello stesso anno, in una sua lettera a Ricordi, indicazioni sulla partitura del Poliuto e del dono che Donizetti fece della stessa al nostro Ghezzi.

Ma quando nacque Teodoro e dove? Quando morì? Era napoletano?

Il certificato di morte, conservato presso il Comune di Napoli, toglie i punti interrogativi a tutte queste domande. Prima di trascriverlo dirò che il cognome Ghezzi non risulta essere di provenienza napoletana. Il Dizionario dei cognomi italiani di Emidio De Felice cita: “Ghezzi è un cognome diffuso in Lombardia, in particolare a Milano, con ceppi in Toscana, Emilia Romagna, Trentino e Lazio”. E ancora: “Durante il medioevo, quando in una schiatta nascevano due o più capostipiti il cognome si trasformava al plurale. Così Ghezzo diventa Ghezzi. Ghezzo nasce da un antico soprannome per indicare un egiziano o persona dalla pella scura, nericcio come un egiziano. Dal greco Aigyptios dal latino Aegyptius = egizio. Egizio, Eghizio, Ghizio, Ghezio, Ghezzo, Ghezzi”. Consideriamo comunque che, a quei tempi, Napoli era una delle città più popolose d'Europa ed il fulcro culturale per l'Italia dell'epoca. Indubbiamente deve aver rivestito un'attrazione particolare per moltissime persone, provenienti da altre zone d'Italia, che vi si recavano per lavoro, per cercar fortuna, per iniziare un'attività artistica. Nel solo campo musicale moltissimi compositori famosi, non napoletani, studiarono nei suoi Conservatori, come Bellini, o vi si stabilirono a lungo, come lo stesso Donizetti.

Ma ecco il testo dell'atto di morte del nostro Teodoro. Esso risulta registrato al Numero d'ordine 912 con l'indicazione del defunto: “Ghezzi Teodoro dico Ghezzi Teodoro” (il funzionario voleva essere ben sicuro!). E' redatto su modulo prestampato per il testo fisso stabilito dalla procedura e completato manualmente dal funzionario incaricato:

L'anno milleottocentottantuno, addì due di Novembre, a ore pomeridiane una e minuti...., nella Casa Comunale.

Avanti a me Cavalier Errico Guida vice Sindaco Aggiunto e per delegazione del Sindaco del nove Dicembre milleottocentosettantanove Uffiziale dello Stato Civile del Comune di Napoli, quartiere Pendino, sono comparsi Cesare Ghezzi, di anni ventiquattro impiegato, domiciliato in Napoli, e Giuseppe Togna, di anni trentadue, tartarugaro, domiciliato in Napoli, i quali mi hanno dichiarato che a ore antimeridiane tre e minuti.........di oggi, nella casa posta in vico di S. Vito a' Bottonari al numero diciotto, è morto Teodoro Ghezzi, di anni settantacinque, Professore di belle arti, residente in Napoli, nato in Napoli, dal fu Antonio, domiciliato in vita a Napoli, e dalla fu Raffaela Pone, domiciliata in vita a Napoli, celibe.

A quest'atto sono stati presenti quali testimoni Luigi Togna, di anni trentaquattro commerciante ed Angelo Silvestro, di anni cinquantatre tartarugaro, ambi residenti in questo Comune. Letto il presente atto a tutti gl'intervenuti, l'hanno meco sottoscritto meno Silvestro perchè analfabeta”.

Seguono le firme di Cesare Ghezzi, Giuseppe e Luigi Togna e del funzionario Errico Guida.

Ecco finalmente i dati che cercavamo e che forniscono preziose indicazioni sul buon Teodoro: alla luce di quanto sopra egli risulta nato a Napoli nel 1806, avendo 75 anni al momento della morte. Non essendosi sposato, il Cesare Ghezzi, presente alla redazione dell'atto, potrebbe essere un nipote.

E' curioso notare la professione di alcuni dei testimoni: tartarugaro. Come, molto opportunamente, mi ha fatto notare l'amico Fulvio Stefano Lo Presti, tale attività non va intesa come appartenente a persona che alleva o vende tartarughe, ma ad un artigiano che lavorava i gusci si tartaruga per ricavarne spazzole, pettini ed altri oggetti. Quest'arte, poiché di vera arte si deve parlare, era molto in voga già nel XVIII secolo. Dalle tartarughe si potevano ottenere anche oggetti preziosi, quali decorazioni per mobili, lumi, vassoi, il tutto impreziosito da inserimenti in oro, argento, madreperla. Intorno al 1870, fra Napoli e Torre del Greco, un censimento numera circa 1200 artisti fra corallari e tartarugari. Arte nobile quindi, alla quale si dedicarono artigiani che divennero famosi. Anche questo comunque è l'ennesimo esempio della versatilità del popolo partenopeo, dote così utile per inventarsi le attività più diverse per campare, in una realtà spesso difficile da gestire arrivando, come in questo caso, a risultati artistici di tutto rispetto.

Come ho già ricordato, sono certo che ulteriori indagini, necessariamente da condursi in loco, potranno sicuramente condurre al reperimento di altri documenti e di ulteriori notizie su Ghezzi, sulla sua vita ed attività artistica. Ma almeno un primo passo per toglierlo dall'oblio è stato fatto. Un altro tassello dell'immenso mosaico donizettiano è stato recuperato. Spero di poter dire: il seguito alla prossima puntata.

Ringrazio le molte persone che mi hanno aiutato in questa ricerca, in particolare l’Architetto Alfonso Ghezzi (che non è un discendente di Teodoro), Dirigente della II Municipalità di Napoli, della quale fa parte il quartiere di Pendino il quale, molto gentilmente, si è trasformato per me in perito calligrafo, identificando il nome corretto della via in cui è morto Ghezzi, di difficile interpretazione. Il toponimo esatto risulta quindi: S. Vito a' Bottonari – vico 2°. Esso risulta inserito nell'elenco della Parrocchia di San Giovanni in Corte – anno 1859. Quartiere di Pendino. A Pendino molte vie e vicoli erano intitolati a professioni. Il Celano, nel suo: “Delle notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli” scrive:...”a destra vedesi la strada già detta dell'Armieri, al dirimpetto la strada che va alla chiesa di San Vito detta de' Bottonari, poiché in questo luogo si vendono i bottoni”. Anche questa zona di Napoli è rientrata, a fine Ottocento, nel programma di risanamento edilizio che ha interessato varie zone della città ed è stata pesantemente colpita dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale.

 

(2012. Parzialmente rivisto nel 2020)

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