IL PICCOLO - 28 novembre 2014

di Maria Cristina Vilardo

Selma Pasternak «Nel mio dna la storia del dottor Zivago»
Il soprano, pronipote del famoso premio Nobel russo vive a Moruzzo: gli Amici della Lirica la riportano a Trieste

di Maria Cristina Vilardo –  IL PICCOLO 28 novembre 2014

Sogna di poter cantare nuovamente al Teatro Verdi (“Sarebbe un grande onore per me”), dove nel 2006 era tra i protagonisti dell’opera “Il mondo della luna” di Paisiello, nella messinscena di Gino Landi. Intanto la prossima primavera la riporterà a Trieste per un concerto l’Associazione Amici della Lirica “Viozzi”. Con un grande carico d’arte nel suo dna, Selma Pasternak è pronipote del celeberrimo Premio Nobel e autore del romanzo “Il dottor Zivago”. Il soprano vive con la sua famiglia a Moruzzo, sulle colline moreniche.

Il padre di Boris Pasternak era pittore, come il padre di Selma, e illustratore delle opere di Tolstoj. La madre Rosa Kaufman era un’apprezzata concertista di pianoforte. La loro casa era frequentata da artisti, poeti, scrittori e musicisti, come il compositore e pianista Schriabin. «Un giorno Schriabin – racconta Selma – era venuto nella loro dacia e il padre di Boris gli chiese un parere sulle qualità musicali del figlio, che studiava composizione al Conservatorio di Mosca. Forse ci teneva, perché per il popolo slavo la musica è importante, è un valore aggiunto per la comprensione del mondo. Schriabin disse che Boris era un buon esecutore ma non aveva il talento del compositore, era meglio che si occupasse di qualcos’altro che gli stava a cuore. E Boris rivelò al padre che lui componeva sì, ma poemi, non musica».

Un artista anche il nonno?

«Mio nonno Antonin, fratello di Boris, era dottore. Durante la Rivoluzione bolscevica si è rifugiato a Praga. E nel 1944 è stato condotto nel campo di Theresienstadt/Terezín, dove poteva fare il medico. Compilò una lista di persone fingendo che fossero affette da una malattia rara, così salvò se stesso, sua moglie, il figlio e una certa quantità di persone. Gli hanno dedicato una targa postuma su un albero al Giardino dei Giusti, lo Yad Vashem di Gerusalemme».

Suo papà era russo e la mamma serba. Come si sono incontrati?

«In terza superiore, a ragioneria, mia mamma leggeva sotto il banco “Il dottor Zivago”. E diceva: “Ma come mi piacerebbe sposarmi con un Pasternak!”. Quattro anni dopo papà era ospite di amici a Belgrado e la mamma era venuta lì da Novi Sad con i compagni di classe per festeggiare la maturità. Si incontrarono sui grandi boulevard lungo il Danubio, e il giorno dopo papà si presentò con un mazzo di rose rosse all’albergo dov’era alloggiata mia mamma».

Scoppia il grande amore, e poi?

«Decidono di uscire dal territorio jugoslavo e attraversano il confine con passaporti falsi, arrivando a Trieste. Vengono ospitati al campo profughi di Padriciano, che era stato costruito dall’architetto Danilo Mattiussi, oggi mio suocero. Anche Glauco, mio marito, è architetto».

Sua figlia si chiama Ginevra Larissa Selvaggia Pasternak. Un nome importante…

«Gliel’ho voluto dare perché penso che non c’è cosa più bella della storia tramandata. Volevo dare anche a lei un contatto con Boris Pasternak. E mio marito ha avuto piacere che avesse il mio cognome, per la sua forza, la sua valenza. Quasi nessuno sa che il vero nome della protagonista del “Dottor Zivago” è Larissa, Lara è un diminutivo, invece Ginevra viene dal gaelico “Gwenhwyfar” e vuol dire “la bianca tra gli elfi”. Io ho perso una gravidanza prima di Ginevra e non sapevo se ce l’avrei fatta a diventare mamma. Così quando sono rimasta incinta, ho pensato: “È lei la mia bianca tra gli elfi”».

E Selma?

«È un antico nome celtico. Il significato è “ricca, felice, affascinante”. È il più bell’augurio che una madre possa fare a sua figlia. Quando la mamma è scomparsa, un anno fa, abbiamo onorato le sue ceneri con le musiche tzigane, perché lei voleva i “truba›i”, che in serbo sono i suonatori degli ottoni. I miei genitori erano molto legati alla natura e alla naturalità del mondo e delle cose. Mio papà, quando è morto nel 2003, ha voluto esser sepolto nudo avvolto da sette metri di lino bianco, secondo un’usanza ebraica. Diceva: “Sono venuto al mondo nudo e nudo me ne vado…”».

Un episodio legato alla sua prestigiosa e “ingombrante” parentela?

«Nel 2004 al concerto finale di una masterclass con Katia Ricciarelli al Teatro all’Antica di Sabbioneta, dovevo cantare l’aria di Norina dal “Don Pasquale”, come al provino di selezione. «Poco prima di andare in scena, il tenore disse alla Ricciarelli: “Signora, sono contentissimo di cantare questa sera con la pronipote di Boris Pasternak!”. Lei mi guardò con le mani sui fianchi: “E perché non me l’hai detto prima?”. Le risposi che volevo colpirla per le mie qualità canore, non per il mio nome. Poco dopo mi portò da Magalli a “I fatti vostri” e in altre trasmissioni televisive. Le era piaciuta la storia della mamma che leggeva Pasternak sotto il banco».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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